DOMENICA DI PASQUA
Pasqua di risurrezione
Il cammino quaresimale ci ha accompagnati – attraverso un
progressivo itinerario di conversione – ad accogliere l’evento fondante la
nostra fede: la risurrezione di Gesù, il crocifisso. Un evento che è
innanzitutto annuncio esultante: “Cristo è risorto!”; ma è pure un invito
rivolto ai credenti perché vivano “da risorti”. I cristiani non annunciano la
teoria della risurrezione; essi proclamano che il Nazareno, messo a morte dagli
uomini, da Dio è stato risuscitato. È in gioco una storia, un modo di vivere,
non un’idea!
Una memoria ci precede
Per Israele il memoriale della Pasqua era il ricordo attualizzato –
celebrato con il rituale dell’agnello pasquale – della liberazione attuata da
Dio a vantaggio del suo popolo. Per i cristiani la Pasqua rimanda a Cristo,
nuovo agnello, che con il dono della sua vita libera l’uomo dalla sua radicale
schiavitù: il peccato. Dunque, una liberazione ci precede, una memoria ci
interpella e ci coinvolge. Celebrare la Pasqua, facendone un atteggiamento
esistenziale, è fare memoria di quanto ci ha preceduto.
Tutti noi siamo continuamente protesi verso la libertà e – allo stesso
tempo – tentati dal fascino di antiche e nuove schiavitù (è l’esperienza
vissuta da Israele); continuamente Dio si propone a noi per farci comprendere
il senso profondo dell’esistenza umana, anche se incontra il rifiuto e la
crocifissione (è la vicenda del Cristo).
Nella celebrazione si fa memoria della Pasqua: si fa l’esperienza
storica di essere il popolo convocato per “il pasto del Signore”. Abbiamo
visto, il Giovedì santo, che l’evangelista Giovanni narra – al posto
dell’ultima cena – la lavanda dei piedi. E, in essa, lascia ai suoi discepoli
un comando: “Fate questo in memoria di me”. Una vera liturgia, un’autentica
memoria del pane spezzato e del vino condiviso, deve portare ad una vita
vissuta per i fratelli. La memoria liturgica della Pasqua non può prescindere
dalla ferialità vissuta sotto il segno e il giudizio del servizio; e ogni
esistenza vissuta in questa linea diventa segno e volto della Pasqua.
Per creare comunione
Se la liberazione pasquale dall’Egitto fonda un popolo che prima non
era popolo, la Pasqua di Cristo genera la Chiesa: convocazione dei credenti in
un nuovo popolo. La logica della storia della salvezza è logica di comunione,
di convocazione.
Infatti la realtà ultima verso la quale tutti noi siamo protesi non è
la perfezione individuale, ma la comunione piena di uomini liberi. Liberi
perché liberati dal sospetto reciproco, dallo spirito di dominio, dal
desiderio di imporre la “propria” verità piuttosto che cercarla assieme,
mettendosi al servizio degli altri. Liberi dalla logica del dominio, possiamo
metterci in cammino per attuare una umanità dove la diversità diventi
celebrazione dell’unità e non una sua mortificazione.
Nel cuore della storia
La novità della Pasqua ci interpella radicalmente sul nostro modo di
intendere la vita e la solidarietà. Nella Pasqua si rivela – ed è questo il
primo aspetto – la fedeltà e la solidarietà di Dio all’uomo, a ogni uomo.
Cristo infatti ha salvato l’uomo e la sua storia non respingendola, né criticandola
dall’esterno; l’ha salvata, invece, assumendola fino in fondo, vivendola
pienamente, condividendola. La salvezza si pone nella linea della condivisione,
della solidarietà e non dell’opposizione.
C’è, poi, un secondo aspetto: questa solidarietà si fa via di
rivelazione. Per il Cristo la solidarietà non è stata solo una dimensione
della sua esistenza, ma la costante, la logica, lo stile con cui si è attuata;
non una delle sue caratteristiche quindi, ma la struttura profonda.
Cristo ha dimostrato con la sua vita che l’unico modo per realizzare
se stessi è quello di non possedersi, ma di donarsi, di concepire la propria
esistenza in termini di dono e di servizio. Ma che significa tutto questo per
noi?
Solidarietà è accettare la realtà per quello che è e non per quello
che ci piacerebbe che fosse. Il nostro tempo va accettato per quello che è:
tempo di crisi, di incertezze, di ricerca di verità, di voglia di camminare
assieme. Fedeltà all’uomo d’oggi significa accettare di camminare con ogni uomo
che onestamente cerca nuove strade, nuove possibilità di creare spazi più
umani.
Proprio perché “sconfitto” non è più l’ultima parola. Occorre allora
ricominciare a raccontare ciò che di buono e bello c’è attorno a noi.
Continuare a dire che ovunque c’è male, che il peccato ci assedia, che le
forze del male prevalgono non è raccontare la lieta notizia della
risurrezione, ma dare spazio ancora all’“uomo vecchio” che è in noi. La Pasqua
è la novità possibile e vivibile per l’uomo d’oggi. Una speranza da annunciare
e da “far vedere” proprio perché testimoni della Pasqua.
Pasqua del Signore, Pasqua d'amore.
Oggi
voglio darti
un abbraccio,
fratello mio,
quello
che non t'ho dato
mai,
quello
che attendi,
fingendoti distratto.
Oggi
voglio
ringraziarti,
fratello mio,
per il bene
che mi vuoi
tacendolo
e mostrando
d'ignorarmi.
Oggi
voglio chiederti
perdono,
per le parole
che hai atteso
e non t'ho detto,
per non essermi
fatto capire,
per non averti
permesso
d'amarmi
come sapevi.
Oggi
voglio ringraziarti
per il bene
che mi vuoi
e mi nascondi,
per il cuore
che ti batte
al pensiero
di me,
che non comprendo.
Oggi
voglio unire
al tuo silenzio
il mio cuore
che batte
insieme al tuo,
voglio dirti
che ascolto
ogni parola
che scrivi
nell'aria
per me.
(Antonino)
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