sabato 7 aprile 2012

Pasqua di Resurrezione


DOMENICA DI PASQUA

 Pasqua di risurrezione



Il cammino quaresimale ci ha accompagnati – attraverso un progressivo itinerario di conversione – ad accogliere l’evento fondante la nostra fede: la risurrezione di Gesù, il crocifisso. Un evento che è innanzitutto annuncio esultante: “Cristo è risorto!”; ma è pure un invito rivolto ai credenti perché vivano “da risorti”. I cristiani non annunciano la teoria della risurrezione; essi proclamano che il Nazareno, messo a morte dagli uomini, da Dio è stato risuscitato. È in gioco una storia, un modo di vivere, non un’idea!

Una memoria ci precede
Per Israele il memoriale della Pasqua era il ricordo attualizzato – celebrato con il rituale dell’agnello pasquale – della liberazione attuata da Dio a vantaggio del suo popolo. Per i cristiani la Pasqua rimanda a Cristo, nuovo agnello, che con il dono della sua vita libera l’uomo dalla sua radicale schiavitù: il peccato. Dunque, una liberazione ci precede, una memoria ci interpella e ci coinvolge. Celebra­re la Pasqua, facendone un atteggiamento esistenziale, è fare me­moria di quanto ci ha preceduto.
Tutti noi siamo continuamente protesi verso la libertà e – allo stesso tempo – tentati dal fascino di antiche e nuove schiavitù (è l’esperienza vissuta da Israele); continuamente Dio si propone a noi per farci comprendere il senso profondo dell’esistenza umana, anche se incontra il rifiuto e la crocifissione (è la vicenda del Cristo).
Nella celebrazione si fa memoria della Pasqua: si fa l’esperienza storica di essere il popolo convocato per “il pasto del Signore”. Abbiamo visto, il Giovedì santo, che l’evangelista Giovanni narra – al posto dell’ultima cena – la lavanda dei piedi. E, in essa, lascia ai suoi discepoli un comando: “Fate questo in memoria di me”. Una vera liturgia, un’autentica memoria del pane spezzato e del vino condivi­so, deve portare ad una vita vissuta per i fratelli. La memoria litur­gica della Pasqua non può prescindere dalla ferialità vissuta sotto il segno e il giudizio del servizio; e ogni esistenza vissuta in questa li­nea diventa segno e volto della Pasqua.

Per creare comunione
Se la liberazione pasquale dall’Egitto fonda un popolo che prima non era popolo, la Pasqua di Cristo genera la Chiesa: convocazione dei credenti in un nuovo popolo. La logica della storia della salvez­za è logica di comunione, di convocazione.
Infatti la realtà ultima verso la quale tutti noi siamo protesi non è la perfezione individuale, ma la comunione piena di uomini libe­ri. Liberi perché liberati dal sospetto reciproco, dallo spirito di do­minio, dal desiderio di imporre la “propria” verità piuttosto che cer­carla assieme, mettendosi al servizio degli altri. Liberi dalla logica del dominio, possiamo metterci in cammino per attuare una uma­nità dove la diversità diventi celebrazione dell’unità e non una sua mortificazione.

Nel cuore della storia
La novità della Pasqua ci interpella radicalmente sul nostro mo­do di intendere la vita e la solidarietà. Nella Pasqua si rivela – ed è questo il primo aspetto – la fedeltà e la solidarietà di Dio all’uomo, a ogni uomo. Cristo infatti ha salvato l’uomo e la sua storia non respingendola, né criticandola dall’esterno; l’ha salvata, invece, assumendola fino in fondo, vivendola pienamente, condividendola. La salvezza si pone nella linea della condivisione, della solidarietà e non dell’opposizione.
C’è, poi, un secondo aspetto: questa solidarietà si fa via di rivelazione. Per il Cristo la solidarietà non è stata solo una dimen­sione della sua esistenza, ma la costante, la logica, lo stile con cui si è attuata; non una delle sue caratteristiche quindi, ma la strut­tura profonda.
Cristo ha dimostrato con la sua vita che l’unico modo per rea­lizzare se stessi è quello di non possedersi, ma di donarsi, di conce­pire la propria esistenza in termini di dono e di servizio. Ma che si­gnifica tutto questo per noi?
Solidarietà è accettare la realtà per quello che è e non per quel­lo che ci piacerebbe che fosse. Il nostro tempo va accettato per quel­lo che è: tempo di crisi, di incertezze, di ricerca di verità, di voglia di camminare assieme. Fedeltà all’uomo d’oggi significa accettare di camminare con ogni uomo che onestamente cerca nuove strade, nuove possibilità di creare spazi più umani.
Proprio perché “sconfitto” non è più l’ultima parola. Occorre al­lora ricominciare a raccontare ciò che di buono e bello c’è attorno a noi. Continuare a dire che ovunque c’è male, che il peccato ci asse­dia, che le forze del male prevalgono non è raccontare la lieta noti­zia della risurrezione, ma dare spazio ancora all’“uomo vecchio” che è in noi. La Pasqua è la novità possibile e vivibile per l’uomo d’oggi. Una speranza da annunciare e da “far vedere” proprio perché testi­moni della Pasqua.






Pasqua del Signore, Pasqua d'amore.





Oggi 
voglio darti 
un abbraccio,
fratello mio,
quello 
che non t'ho dato 
mai,
quello 
che attendi,
fingendoti distratto.
Oggi 
voglio 
ringraziarti,
fratello mio,
per il bene 
che mi vuoi 
tacendolo
e mostrando 
d'ignorarmi.
Oggi 
voglio chiederti 
perdono,
per le parole 
che hai atteso 
e non t'ho detto,
per non essermi
fatto capire,
per non averti 
permesso 
d'amarmi
come sapevi.
Oggi
voglio ringraziarti
per il bene 
che mi vuoi
e mi nascondi,
per il cuore 
che ti batte 
al pensiero 
di me,
che non comprendo.
Oggi
voglio unire 
al tuo silenzio
il mio cuore 
che batte 
insieme al tuo,
voglio dirti 
che ascolto
ogni parola
che scrivi 
nell'aria
per me.

(Antonino)

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