Il Papa all'arrivo all'aula del Sinodo (Foto Ap)
“Parlare con parresìa (schiettamente, in piena libertà) e ascoltare con umiltà”. È con questi due atteggiamenti che si esercita la “collegialità”. A spiegarlo ai 191 padri sinodali è stato il Papa, aprendo oggi, lunedì, la prima Congregazione generale della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, in corso in Vaticano sul tema: “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”.
“È una grande responsabilità”, ha ammonito il Papa: “Portare le realtà e le problematiche delle Chiese, per aiutarle a camminare su quella via che è il Vangelo della famiglia. Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro”, ha detto il Papa entrando nel dettaglio dei compiti dei partecipanti: “Nessuno dica: questo non si può dire; qualcuno penserà di me così o così... Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresìa. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. E fatelo con tanta tranquillità e pace - ha proseguito il Santo Padre - perché il Sinodo si svolge sempre ‘cum Petro et sub Petro’, e la presenza del Papa è garanzia per tutti”. La relazione introduttiva del cardinale Erdo (di Luciano Moia)
In una società che ha smarrito il valore dell’affettività e della sessualità, e dove tutto viene banalizzato e reso superficiale, non c’è da stupirsi che anche tanti cattolici finiscano per essere travolti, magari inconsapevolmente, da un clima di diffusa indifferenza, da un atteggiamento dove il relativismo diventa malintesa tolleranza anche di scelte e comportamenti lontani dalle indicazioni della Chiesa. Ma questo non significa che le coppie cristiane abbiano smarrito i riferimenti di quel «patrimonio da custodire, promuovere e difendere». A proposito per esempio dell’indissolubilità del matrimonio, coloro che si dicono convinti della necessità e dell’opportunità di mantenere un’indicazione che nasce dalle parole stesse del Vangelo, rappresentano ancora oggi la maggior parte dei fedeli. L’ha messo in luce il cardinale Peter Erdo, relatore generale del Sinodo sulla famiglia, aprendo stamattina i lavori dell’assemblea. «Non le questioni dottrinali ma le questioni pratiche - inseparabili tra l’altro dalle verità della fede - ha fatto notare l’arcivescovo di Esztergon-Budapest che anche presidente della Ccee - sono in discussione in questo Sinodo, di natura squisitamente pastorale. Erdo ha poi passato in rassegna alcuni dei temi nell’agenda dei 191 padri sinodali. A proposito della spinosa questione dei separati e dei divorziati, ha invitato a non generalizzare. Perché, ferma restando l’indicazione dell’accoglienza, non è possibile mettere sullo stesso piano «chi ha colpevolmente rotto un matrimonio e chi è stato abbandonato». E ha ribadito che in ogni caso è opportuno studiare la prassi di alcune Chiese ortodosse che prevedono – pur senza mettere in discussione la dottrina dell’indissolubilità – la possibilità di seconde e terze nozze, dopo un cammino penitenziale serio e condiviso. La questione di fondo, ha concluso il relatore generale, rimane di carattere culturale. Come proporre cioè in modo convincente e avvincente, oltre la cerchia dei cattolici praticanti, il fascino del messaggio cristiano sul matrimonio e sulla famiglia.
Il Commento
(di Marina Corradi)
Cristo e i «battiti di questi tempi»
Su piazza San Pietro gremita va calando la sera. L’ora, dice il Papa, in cui è bello ritornare a casa, fra chi ci è caro. Ma anche, aggiunge, «l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine». E si direbbe che Francesco si immedesimi profondamente, che quasi sappia com’è, la sera, non avere nessuno che ti aspetti. Che quella moltitudine di naufraghi e di “lontani” dalla famiglia così come la intende la Chiesa, gli stia profondamente a cuore. («C’è tanta gente senza speranza», sono le sole parole che aggiungerà a braccio, alla fine).
Esorta dunque il Papa, nella preghiera per il Sinodo sulla famiglia, a «prestare orecchio ai battiti di questo tempo», e a percepire l’odore degli uomini d’oggi, per restare impregnati delle loro speranze, tristezze e angosce. Nella certezza che in ogni uomo rimane comunque vivo il bisogno di una porta aperta, di una storia cui appartenere.
Poi Francesco chiede, per l’assemblea sinodale, il dono dell’ascolto, il dono del confronto, e un terzo dono, in cui, dice, veramente «sta il segreto»: «Uno sguardo fisso su Cristo. La condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Cristo. Ogni volta che torniamo a Cristo si aprono strade nuove, e possibilità impensate». Perché bisogna prestare attenzione ai «battiti di questo tempo», alle sue accorate e orgogliose disarmonie, e nel nome del Dio fatto uomo sostenere, soccorrere, amare.
Di certo questo Sinodo sulla famiglia, indetto dal Papa nemmeno un anno dopo la sua elezione, non potrà non portare in sé la certezza misericordiosa e ostinata dello sguardo di Francesco. Quello sguardo che brillava fra le righe dell’ intervista concessa a “Civiltà Cattolica”, in cui parlò della Chiesa come «un ospedale da campo dopo una battaglia». E dove Francesco continuava: «La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: Gesù Cristo ti ha salvato».
Annuncio che appassiona e seduce, e che, aggiungeva, «è previo all’obbligazione morale e religiosa». Come intendendo che su questa nostra umanità e queste nostre famiglie, e anche su quelle divise e sconfitte o annientate, la prima parola è Cristo; anteriore a ogni precetto, la certezza dell’amore di Cristo. Da questa certezza viene al credente l’adesione alle norme morali che riconosce, dentro a quell’amore, necessarie. Ma senza la forza innamorante dell’annuncio di Cristo, ogni norma si fa astratta, vecchia cosa da accantonare.
Partire da Cristo, dagli occhi fissi nel suo volto. Perché, aggiungeva Francesco all’intervistatore, padre Spadaro, con una inconsueta, sovrana fierezza, «io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno.
Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».
Con questo respiro la Chiesa è chiamata al Sinodo, da domani. La Chiesa china sull’umanità e sul suo nucleo fondante, la famiglia, come Cristo lo fu nell’ascoltare la Samaritana al pozzo – la donna che aveva avuto sei mariti e ora, perplessa ma affascinata, stava di fronte allo sconosciuto straniero. E gli chiedeva infine l’acqua che disseta per sempre: mostrando che nessuno dei suoi numerosi amori aveva appagato il suo bisogno di amore.
Icona, la donna al pozzo, anche di molti di noi, generazione degli affetti travagliati e delle promesse abbandonate, oppure di una fedeltà a Cristo solo formale: che ci affanniamo in ogni modo, cocciutamente, per essere felici, dimenticando da chi viene la felicità vera.
Articolo e commento tratti da Avvenire.it
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