martedì 12 aprile 2011

La mia anima è triste fino alla morte



Ci sono notti, Signore, nella nostra vita,
in cui la sofferenza sempre insormontabile.
Un dolore lancinante,
la sensazione dell’impotenza,
l’assenza di speranza.
Imprigionati da catene invisibili,
consegnati da mali incurabili,
arrestati nella nostra voglia di vivere.
Non importa più chi sia il colpevole.
Resta soltanto l’amarezza dello schiaffo,
il senso del tradimento,
la privazione di ciò per cui siamo vissuti.
Con le ultime forze
investiamo Dio delle nostre angosce,
supplicando:
«Passi da me questo calice di dolore»
o urlando di disperazione:
«Perché mi hai abbandonato?».
Tu hai provato tutto questo
all’ennesima potenza,
concentrato nelle ore più lunghe
e tormentate della tua vita[1].
In più sentivi il peso di una cocente ingiustizia
e la preoccupazione angosciante
di sciupare con l’infedeltà il tuo sacrificio[2].
Ma hai concluso il tuo percorso
abbandonandoti in lui.
Per questo ora ci comprendi ancor di più
e ci tendi la mano fino all’alba.
«Coraggio. Salta[3] con me.
E sarà Pasqua».

(Testo tratto da un foglio che accomnpagna la liturgia domenicale edito da "elledici")


[1] Il Vangelo della Passione secondo Matteo usa questi verbi: tradito, consegnato, arrestato, imprigionato, rinnegato, dileggiato, schiaffeggiato, flagellato, spogliato, schernito, crocifisso, abbandonato.
[2] «Sacrum facere», azione degna di Dio!
[3] La parola ebraica pesah, da cui Pasqua, significa passare oltre, saltare.


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